San Girolamo ci parla

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L’IMPORTANZA DI CONOSCERE LE SACRE SCRITTURE

Dal “Prologo al commenti del Profeta Isaia”

Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: “Scrutate le Scritture” (Gv 5, 39), e “Cercate e troverete” (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: “Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio” (Mt 22, 29).

Se, infatti, al dire dell’apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza.

Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.

Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l’argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore.

Effettivamente nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l’Emmanuele nato dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti.

Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull’etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l’intelligenza dei mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume.

Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili ai profani, ma aperto e chiaro ai profeti. I profeti, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza.

IL SACERDOTE
dalla Lettera 14  


Dio mi guardi dal parlare male di loro: sono i successori degli Apostoli, e consacrano con la loro bocca il Corpo di Cristo. È tramite loro che noi siamo cristiani; essi, in certo modo, giudicano prima del giorno del giudizio, perché posseggono le chiavi del regno dei cieli, e con la loro vita casta conservano intatta la Sposa di Cristo. Ma la vocazione del monaco, l’ho già spiegato, è diversa da quella dei chierici. I chierici pascolano le pecore, io monaco sono condotto al pascolo. Loro vivono dell’altare; quanto a me, la scure è posta alla radice dell’ albero sterile, se non porto la mia offerta all’ altare. Se le pie sollecitazioni dei fratelli t’invitano ad accedere a quest’Ordine sacerdotale, mi rallegrerò della tua esaltazione, ma starò in trepidazione per la tua caduta. Tu pensi a Pietro, ma guarda anche a Giuda! Tu hai in mente Stefano, ma ricorda anche Nicola, detestato dal Signore nella sua Apocalisse! Non è la dignità ecclesiastica che fa cristiani. Non è facile stare nella posizione di Paolo, od occupare il grado di coloro che regnano ora con Cristo. Se t’accingi a costruire una torre, fa’ prima il calcolo delle spese. Se cade un monaco, ci sarà il sacerdote a pregare per lui; ma se cade il prete, chi pregherà per lui? 


LO SPIRITO SANTO

dalla Lettera 120

   
9.Il primo giorno della resurrezione (gli Apostoli) ricevettero la grazia dello Spirito Santo con cui potevano rimettere i peccati, battezzare, fare dei figli di Dio, e dare a quanti avrebbero creduto lo spirito di adozione, in quanto lo stesso Salvatore aveva detto: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e saranno ritenuti a chi li riterrete». Il giorno di Pentecoste, invece, la promessa fu più ampia: sarebbero stati battezzati nello Spirito Santo; si sarebbero rivestiti della forza per poter predicare il Vangelo di Cristo a tutte le nazioni; avrebbero avuto il potere di operar miracoli e la grazia delle guarigioni; e dovendo essi predicare in molte nazioni, avrebbero ricevuto il dono delle lingue in modo che potessero sapere fin d’allora in quali nazioni ciascun Apostolo avrebbe dovuto portare il Vangelo… Giovanni e Luca non sono affatto in disaccordo per aver detto, il primo, che lo Spirito Santo fu dato il primo giorno della resurrezione, e per aver notato, l’altro, che venne cinquanta giorni dopo. Si tratta di una progressiva perfezione che toccava gli Apostoli. Costoro avevano ricevuto, dapprima, la grazia di rimettere i peccati, mentre la seconda volta avevano ricevuto il dono di far miracoli e tutte le altre diversità di doni.

IL DIGIUNO (1)

dalla Lettera 148


22.Bada a non ritenerti già santa solo perché magari hai cominciato a digiunare e a fare astinenza. Questa virtù, infatti, è solo un aiuto per arrivare alla santità, ma non ne costituisce la perfezione. Soprattutto, però, sta’ attenta a non ritenerti ormai salvaguardata dalle cose illecite solo per il fatto che disprezzi an­che quelle lecite. Tutto ciò di cui fai dono a Dio e che è al di là del puro dovere di giustizia non deve impedirti la giustizia, ma aiutarla. A cosa ti servirebbe indebolirti il corpo con l’astinenza se poi l’animo si gonfia di superbia? L’essere emaciati dal digiu­no ci può forse fruttare qualche merito quando siamo lividi per la gelosia? È forse una virtù non bere vino, quando poi siamo ubriachi di collera e di odio? Voglio dire, insomma, che l’asti­nenza è una cosa eccellente e che la mortificazione del corpo è una cosa bella e meravigliosa solo quando si accompagnano a un’anima digiuna dai vizi. Dico di. più: quelli che lodevolmente e coscientemente abbracciano la virtù dell’astinenza trattano male il proprio corpo appunto per spezzare la superbia dell’ani­ma, per riuscire a scendere – si direbbe – da una posizione di indifferenza o di presunzione e poter compiere la volontà di Dio, che trova la sua perfezione soprattutto nell’umiltà.


IL DIGIUNO (2)

dalla Lettera 22

«Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t’arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: “Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore” (Is 58, 5), e ancora: “Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore?” (Is 58, 3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l’ira, non dico un’intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione»

LA VERA GRANDEZZA
dalla Lettera 148

 
21. La nostra religione non tiene conto delle persone e non guarda qual è la condizione degli uomini ma il loro animo; uno lo classifica, o schiavo o nobile, in base ai suoi costumi. In Dio esiste un unico concetto di libertà: il non essere schiavi dei peccati; e, sempre secondo lui, la nobiltà più alta è costituita dall’eccellenza delle virtù. Davanti a Dio c’è forse un uomo più nobile di Pietro? E tra le donne chi è più ragguardevole della beata Maria che pure ci viene presentata come sposa d’un artigiano? Eppure a quel povero pescatore Cristo affidò le chiavi del regno dei cieli, e quella sposa d’un artigiano meritò di essere la Madre di colui che diede in mano a Pietro quelle stesse chiavi. In verità Dio ha scelto le cose più comuni e meno apprezzabili di questo mondo per portare all’umiltà i potenti e i nobili. D’altra parte, è perfettamente inutile che uno si faccia un vanto della nobiltà della propria famiglia, dal momento che tutti quelli che sono stati redenti dal medesimo sangue di Cristo hanno, davanti a Dio, pari onore e identico prezzo. E non conta la condizione in cui si è nati quando tutti rinasciamo eguali in Cristo. Ora, se anche possiamo dimenticare che discendiamo tutti per generazione da un unico uomo, dobbiamo per lo meno ricordarci sempre che chi ci rigenera tutti è Uno solo.

LE CRITICHE


dalla Lettera 148


16. Non calunniare mai nessuno nel modo più assoluto, e non cercare di farti bello mettendoti a criticare gli altri, e impara a rendere più perfetta la tua vita piuttosto che denigrare quella degli altri. Questo difetto devi evitarlo al punto che non solo non devi permetterti di criticare, ma non devi dar retta neppure una volta a chi critica, per non rafforzare con la tua complicità l’influenza di chi sparla degli altri, e per non favorire con la tua accondiscendenza il suo vizio. Questo difetto è senz’altro il primo che dobbiamo soffocare, e quelli che vogliono formarsi alla santità devono sradicarlo del tutto. Non c’è altra cosa, infatti, che metta l’anima in tanto subbuglio e che renda lo spirito tanto volubile e leggero quanto il prestar fede con facilità a tutto, e dar retta temerariamente alle parole dei criticoni. È di lì che saltano fuori discordie su discordie e sentimenti di odio e proprio questo difetto rende nemiche delle persone che erano amiche per la pelle. Al contrario, il non dar retta temerariamente a nessuna accusa a carico di altri lascia l’anima in una grande pace ed è segno di notevole serietà di vita. 

IL PAPA E LA CHIESA

dalla Lettera 15    


1. Delle volpi devastano la vigna di Cristo; in mezzo a cisterne spaccate e senz’acqua è difficile capire ove si trovi quel fonte si­gillato, quell’orto chiuso da un recinto, di cui parla la Scrittura. Per questo ho deciso di consultare la Cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca d’un Apostolo ha esalta­to; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, do­ve un tempo ricevetti il vestito di Cristo (il battesimo). 2. La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezio­ne, ma la tua bontà m’attira. Io, come una pecorella chiedo protezione al pastore. Metti da parte ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fa­sto dell’altissima dignità romana: è col successore del pescato­re e con un discepolo della croce che desidero parlare. Io non seguo altro primato che quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la Cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa. Chiunque si ciba dell’Agnello fuori di tale casa è un empio. Chi non si trova nell’arca di Noè, perirà durante il diluvio. Chi non raccoglie con te, disperde; vale a dire: chi non è di Cristo è dell’Anticristo 


LA PREGHIERA

dalla Lettera 148


Per la tua casa devi spendere ogni energia, riservandoti però qualche momento di respiro per l’anima. Trovati un posticino adatto, alquanto discosto dal viavai familiare, dove tu possa raccoglierti come in un porto dopo tutto il trambusto tempestoso degli affari domestici, e dove possa comporre in intima tranquillità le mareggiate dei pensieri che ti agitavano nella vita esteriore. Lì devi applicarti alla Scrittura divina, prendere e riprendere a pregare a vari intervalli, pensare alle realtà future con costanza e intensità. Quanto, di tutto questo? Quel tanto che tutte le occupazioni del tempo che ti resta possano trovar adeguato compenso in questo riposo dell’anima. E non te lo dico, questo, per rubarti ai tuoi di famiglia; anzi, è appunto perché tu possa pensare e riflettere, in quei momenti, a come dovresti comportarti verso i tuoi.

AI MINISTRI INDEGNI
dalla Lettera 147


Nella misura in cui il vescovo che ti ha ordinato è degno di approvazione, tu sei tanto più odioso per aver preso in giro un uomo come lui. Di solito noi siamo gli ultimi a sapere i guai di casa nostra; magari i nostri vicini vanno già raccontando a tutti i vizi dei nostri figli e delle nostre mogli, e noi ne siamo ancora perfettamente all’ oscuro. Tutta l’Italia sapeva il tipo che eri, e non c’era uno che non lamentasse il fatto che tu stessi davanti all’ altare di Cristo. Avevi il fuoco addosso, e la voluttà ti trascinava ora in un senso ora in un altro perché eri continuamente in fregola, un lussurioso sfrenato…Che schifo! Non riesco ad andare avanti; ogni parola mi viene bloccata da un singhiozzo, e un misto di rabbia e di dolore mi serra la gola da sentirmi soffocare…Abbi pietà dell’anima tua, ti prego! Credi nel giudizio futuro di Dio e non dimenticare le virtù di quel vescovo che t’ha ordinato diacono. È strano, forse, che per quanto fosse un santo abbia potuto ingannarsi nella scelta d’un individuo? Non s’è pentito anche Dio d’aver unto re Saul? Tra i dodici Apostoli non s’è trovato un Giuda traditore?… A un certo momento ti butti alle mie ginocchia, e mi chiedi che ti risparmi – per dirla con le tue parole – di batterti a sangue. Non ti curi affatto, miserabile, del giudizio di Dio! Tu hai solo paura di me, come se fossi io l’incaricato di far giustizia!… T’ho perdonato, sì, lo confesso. Come cristiano cos’ altro avrei potuto fare? T’ho esortato a far penitenza, a metterti addosso un cilizio e a cospargerti di cenere, ad andartene in un deserto per chiuderti in un monastero, e a meritarti la misericordia di Dio con lacrime continue…E tu? Infiammato dagli stimoli del serpente hai fatto di te stesso un arco di perversità per scagliare contro di me le frecce della maldicenza. Per averti parlato nella verità ti sono diventato nemico, vero?… Non c’è cosa che faccia più resistenza a Dio d’un cuore che non vuole pentirsi; è l’unica colpa che non può ottenere perdono. In realtà, chi smette di fare peccati, malgrado abbia commesso peccato viene perdonato; chi prega riesce a piegare il giudice; chiunque rifiuta di pentirsi, invece, provoca la collera del giudice…Anche tu potrai riacquistare la vista se ripeterai lo stesso grido (“Figlio di Davide, abbi pietà di me!”) e se, una volta chiamato da lui, getterai via i tuoi sporchi vestiti. Quando fra i gemiti ti convertirai, sarai salvo, ed allora ti renderai conto in quale stato ti trovavi.

L’EDUCAZIONE

dalla Lettera 107, a Leta.      


4. Ed ecco il metodo pedagogico per un’anima che deve diventare tempio del Signore. Si abitui a non sentire nulla, a non parlare di nulla che non la porti al timor di Dio. Non deve sentir pronunziare parole volgari, deve ignorare le canzonette del mondo; la sua lingua, mentre è ancora tenera, deve impregnarsi della dolcezza dei Salmi. Le si facciano dei caratteri alfabetici o di bosso o d’avorio, e glieli si indichino col loro nome rispettivo. Ci si diverta pure: anche il gioco, così, le serve per istruirsi. Quando mette assieme le sillabe, le si dia un premio; anzi la si stimoli a farlo con quei regalucci che possono farle piacere alla sua età. Se è piuttosto lenta, non bisogna maltrattarla; le si deve stimolare la mente con dei complimenti. Per le difficoltà superate deve essere contenta, e deve sentir dolore quando non ci riesce. Bisogna stare attenti, soprattutto, che non prenda in uggia lo studio, per evitare che l’amarezza, se la risente fin da bambina, le perduri poi anche dopo questi anni informi. Il maestro deve essere raccomandabile per età, per condotta e per sapere. Non bisogna svalutare — come fossero di poco conto — quelle piccole cose senza le quali, però, non potrebbero esistere neanche le grandi. Insomma, non impari alla sua tenera età cose che dovrebbe poi disimparare. È difficile cancellare ciò di cui le menti ancora vergini si sono impregnate. La balia, anche lei, non deve essere una che alza troppo il gomito, un’impudica e chiacchierona; la bambinaia che le sta accanto sia modesta, e il suo precettore sia una persona posata.


IL VESCOVO

dalla Lettera LXIX,      


«Se uno desidera l’episcopato, desidera una carica buona» (1Timoteo 3,1): è una carica, non una dignità; è una fatica, non un piacere; è una carica che lo dovrebbe portare ad abbassarsi umilmente, non a gonfiarsi per aver raggiunto una vetta. «Bisogna che sia irreprensibile» (1Timoteo 3,2): Si vuole accettare un vescovo in piena regola? Si veda anzitutto se la sua condotta è irreprensibile, poi la lingua. Se uno, infatti, razzola in modo da distruggere quello che dice, perde tutta l’autorità di maestro. «Capace di insegnare» (1Timoteo 3,2): Dai vescovi, inoltre si esige anche la scienza. Effettivamente una condotta su cui non c’è nulla da ridire, ma è muta, se è di qualche utilità per l’esempio che dà, non è meno dannosa per il silenzio. La rabbia furiosa dei lupi deve essere messa a tacere dai latrati dei cani e dal bastone del pastore…

VITA CRISTIANA

dalla Lettera 96    


Carissimi fratelli: ora che abbiamo rigettato le dottrine perverse e che abbiamo scartato i trabocchetti dei passi della Scrittura che chiamano apocrifi, ossia segreti («non ho parlato in segreto», dice invece il Signore), rinnovo ancora a più riprese l’invito di celebrare le feste della passione del Signore. Conformiamoci in ogni circostanza alla sua bontà; emendiamoci degli errori facendo penitenza; preghiamo per i nostri nemici ed eleviamo suppliche per coloro che parlano male di noi, seguendo l’esempio di Mosè che con le sue preghiere cancellò la colpa della sorella che sparlava di lui. Laviamo le macchie dei nostri peccati con l’olio dell’elemosina. Quando succede che ci viene affidato un potere giudiziale, ed è affidato a noi il processo di nostri fratelli in lite tra di loro, non lasciamoci influenzare dalle persone, ma dai fatti in se stessi. Qualcuno sta andando in rovina o si trova sotto prova? Anche noi mettiamoci sul suo stesso piano, spinti dall’affetto. Le leggi siano regolate dalla verità. La nostra carità sia incline alla misericordia, non insultando chi pecca, ma avendo compassione, perché è facile scivolare nei vizi, e la fragilità della natura umana deve far temere a ciascuno quanto scorge in un altro. Ma al di sopra di tutto questo, con l’anima piena di timore, conserviamo la pietà verso Dio, che rappresenta il culmine e la corona delle virtù; esecriamo il politeismo, e professiamo l’unica e indivisa natura del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale siamo stati battezzati ed abbiamo ricevuto la vita eterna. E se la clemenza di Dio ce lo concederà, meriteremo di celebrare la Pasqua del Signore con gli angeli.

LA PERENNE VERGINITÀ DI MARIA
da “Contro Elvidio”


Come non neghiamo le cose che sono state scritte, cosi rifiutiamo quelle che non sono state scritte. Crediamo che Dio sia nato da una vergine poiché l’abbiamo letto; non crediamo che Maria abbia contratto nozze dopo il parto, perchè non l’abbiamo letto. Certo non diciamo questo per condannare le nozze, poiché la verginità stessa è frutto di nozze, ma perché non ci sia possibile fare considerazioni fuor di proposito riguardo a uomini santi. Giacché, guardando alla possibilità in sé, potremmo affermare che Giuseppe abbia avuto più spose, dal momento che ne ebbero più di una Abramo e Giacobbe, e che da tali spose siano nati i fratelli del Signore, il che molti si immaginano con temerarietà non tanto pia quanto audace. Tu dici che Maria non rimase vergine; quanto a me, sostengo per di più che Giuseppe stesso fu vergine per mezzo di Maria, così che da nozze verginali nacque un Figlio vergine. Giacché, se la fornicazione è fuor di luogo in un uomo santo, e non sta scritto che egli abbia avuto un’altra sposa, egli fu allora piuttosto custode che marito di Maria, che si riteneva avesse in sposa: e altro non resta che rimanesse vergine con Maria colui che meritò di essere chiamato padre del Signore.

LA VOCAZIONE (1)

dalle Omelie sul Vangelo

    
Poco più avanti vide Giacomo di Zebedeo e suo fratello Giovanni che se ne stavano sulla barca a riparare le reti. Subito li chiamò, ed essi, lasciato il padre Zebedeo con gli aiutanti sulla barca, lo seguirono. Qualcuno potrebbe dire: Ma è una fede pazzesca questa. Avevano assistito a qualche fatto straordinario? Quale maestosità avevano visto in lui da seguirlo subito appena chiamati? Qui, sicuramente, ci viene dato da capire che anche gli occhi di Gesù e il suo volto spiravano un alcunché di divino, tale da convertire facilmente chi buttava lo sguardo su di lui. Non si spiega altrimenti perché l’abbiano seguito solo perché Gesù ha detto loro «seguitemi». La realtà è questa, che se l’avessero seguito senza una ragione plausibile, più che di fede bisognerebbe parlare di temerarietà. Facciamo il caso che io me ne stia tranquillamente seduto, e un passante qualunque mi dica: vieni e seguimi, e io gli vado dietro, si può forse parlare di fede? Cosa voglio dire, insomma? Che la parola del Signore è di per se stessa operativa: qualunque cosa dicesse, si effettuava. Se è vero infatti che «ciò che lui ha detto si è subito realizzato, gli è bastato comandare per creare» (Sal 148, 5): qui è sicuramente successa la stessa cosa: lui li ha chiamati, e di conseguenza essi l’hanno seguito.

LA VOCAZIONE (2)

dalla Lettera 118  


Non vorrei che al Signore offrissi solo le cose che un ladro può rubarti, che un nemico ti può saccheggiare o che puoi perdere con un esilio. Queste cose vanno e vengono; sono come delle ondate, come dei flutti: se ne impossessano successivamente padroni sempre diversi. Insomma – per esprimermi con una sola frase comprensiva di tutto – sono cose, quelle, che, voglia o non voglia, quando muori te le lasci dietro. Offrigli invece ciò che nessun nemico ti può portar via e che nessun tiranno ti può strappare, ciò che potrà seguirti agl’inferi o piuttosto nel regno dei cieli, nella gioia del paradiso.

LA PASQUA

dalle Omelie per il giorno di Pasqua  


«Questo è il giorno che ha fatto il Signore: esultiamo e rallegriamoci». Allo stesso modo che Maria, vergine e madre del Signore, tiene il primo posto fra tutte le donne, così a confronto con gli altri giorni questo è madre di tutti gli altri. Quello sbarramento del paradiso, difeso dalla spada infuocata, che finora nessuno aveva potuto aprire è stato oggi sfondato da Cristo col ladrone e quelle porte una volta aperte non si chiuderanno mai più ai credenti. Dal momento della passione del Signore fino ad oggi quella porta è sempre chiusa e nello stesso tempo aperta: chiusa per i peccatori e i non credenti, aperta per i giusti e i credenti. Vi è passato Pietro, vi è passato Paolo, vi sono passati tutti i santi e i martiri, vi passano ogni giorno da tutto il mondo le anime dei giusti. Le porte sono due: la porta del paradiso e la porta della Chiesa. Attraverso la porta della Chiesa entriamo in quella del paradiso.

IL BATTESIMO DI GESÙ

dalle Omelie sul Vangelo di Marco    


E fu battezzato nel Giordano da Giovanni. Straordinario atto di umiltà: Gesù, che non aveva peccati, viene battezzato come se fosse un peccatore. È nel battesimo del Signore che vengono rimessi tutti i peccati. Ma il battesimo di Giovanni è in certo modo una introduzione al battesimo del Salvatore. Resta vero, però, che l’autentica remissione dei peccati avviene nel sangue di Cristo, nel mistero della Trinità. E mentre usciva dall’acqua, Gesù vide il cielo spalancarsi. Tutto ciò che l’evangelista scrive, lo scrive per noi. Vuol dire dunque che noi, prima di ricevere il battesimo, abbiamo gli occhi chiusi e non vediamo le realtà celesti. E vide lo Spirito sotto forma di colomba scendere e arrestarsi su di lui. E una voce venne dal cielo: Tu sei il figlio mio prediletto, in te mi ritrovo. Gesù Cristo viene battezzato da Giovanni, lo Spirito Santo scende su di lui sotto forma di colomba, il Padre gli rende testimonianza dal cielo. Prendi nota, seguace di Ario, prendete nota voi eretici, come anche nel battesimo di Gesù c’è tutto il mistero della Trinità: è Gesù che viene battezzato, lo Spirito Santo discende sotto forma di colomba, il Padre parla dal cielo.

LA VITA DISSIPATA

dalla Lettera XLIII    


2. … basta che protraiamo la lettura (della Sacra Scrittura) che ci viene da sbadigliare, da reprimerci lo stomaco, da stropicciarci la faccia con le mani; e come se avessimo già lavorato troppo, ci ributtiamo in occupazioni profane. Non parlo poi dei pranzi che ci aggravano la pesantezza dell’anima. E mi fa pure vergogna parlare delle visite così frequenti, sia di quelle che ogni giorno rendiamo agli altri, sia di quelle che riceviamo in casa nostra. In esse si finisce per parlottare, la con­versazione va per le lunghe, si tagliano i panni agli assenti, pas­siamo in rassegna la vita altrui… e rosicchiandoci l’un l’altro fi­niamo di ingoiarci a vicenda. E questo è il cibo con cui ci in­tratteniamo e ci congediamo. Quando poi gli amici se ne sono andati, regoliamo i conti anche con loro! Un giorno è l’ira a farci fare la parte del leone, e un’altra volta è un affanno proprio inutile, dato che ci impensierisce troppo in anticipo su problemi che dovrebbero essere centelli­nati in parecchi anni: e non ci succede mai di pensare alle pa­role del Vangelo: «Pazzo che sei! Questa stessa notte ti verrà chiesta l’anima; di chi saranno i beni che hai accumulato?». Si va in cerca di vestiti non per lo scopo cui servono, ma per civetteria. C’è in vista un guadagno da qualche parte? I piedi mettono le ali, la. lingua si anima, si tende l’orecchio. Se ci mettono al corrente: di qualche dissesto – come può succe­dere spesso in economia domestica – il volto s’oscura di tri­stezza. Saltiamo dalla gioia per uno scudo guadagnato, e poi la perdita di un obolo ci butta a terra. Che alternanza di umori nella stessa persona! Per questo il Profeta supplica il Signore con queste parole: «o Signore, fa’ scomparire dalla tua città la loro immagine!». Se è vero, infatti, che siamo stati modellati a immagine e somiglianza di Dio, sono i nostri vizi a metterci addosso tante maschere. Pro­prio come nelle rappresentazioni teatrali: l’attore è sempre il medesimo; ma ora, robusto, ti incarna Ercole; ora, effeminato, si muta in Venere ed ora si atteggia timidamente a Cibele. Così è per noi: sono tanti i nostri peccati? E di altrettante maschere, rispettivamente simili, ci rivestiamo.

IL PENTIMENTO SINCERO

dal «Commento su Gioele»

Ritornate a me con tutto il vostro cuore» (Gl 2, 129 e mostrate la penitenza dell’anima con digiuni, pianti e battendovi il petto: affinché, digiunando adesso, dopo siate satollati; piangendo ora, dopo ridiate; battendovi ora il petto, dopo siate consolati. Nelle circostanze tristi ed avverse vi è consuetudine di strapparsi le vesti. Così fece, secondo il vangelo, il sommo Sacerdote per rendere più grave l’accusa contro il Signore, nostro Salvatore, e così pure Paolo e Barnaba all’udire parole blasfeme. Ebbene Gioele dice: «Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza» (Gl 2, 13). Ritornate dunque al Signore vostro Dio, da cui vi siete allontanati per il male che avete fatto, e non disperate mai del perdono per la gravità delle colpe, perché l’infinita misericordia le cancellerà tutte per quanto gravi. Il Signore infatti è buono e misericordioso. Vuole piuttosto la penitenza che la morte del peccatore. E’ paziente e ricco di compassione e non imita l’impazienza degli uomini, ché anzi aspetta per lungo tempo la nostra conversione. Il Signore «è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi…» (Gl 2, 13-14). E’ pienamente disposto a perdonare e a pentirsi della sentenza di condanna che aveva preparata per i nostri peccati. Se noi ci pentiamo di quanto abbiamo fatto di male, egli si pentirà della decisione di castigo che aveva preso e del male che aveva minacciato di farci. Se noi cambiamo vita anch’egli cambierà la sentenza che aveva predisposto. Quando diciamo che ci ha minacciato del male, certo non ci riferiamo a un male morale, ma a una pena dovuta giustamente a chi ha mancato. Gioele dopo aver rivelato la misericordia di Dio verso chi si pente, soggiunge: «Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione» (Gl 2, 13-14). Il profeta intende dire: Io assolvo il mio mandato, vi esorto alla penitenza perché so che Dio è oltremodo clemente, come si ricava anche dalla preghiera di David: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 50, 1. 3). Però siccome non possiamo conoscere la profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio — è sempre il pensiero del profeta Gioele — mitigo la mia affermazione e, più che presumere, auguro dicendo: «Chi sa che non cambi e si plachi?». Dicendo: «Chi sa?» bisogna intendere che è cosa impossibile, o per lo meno difficile a sapersi. La frase: Offerta e libazione per il Signore nostro Dio (cfr. Gl 2, 14) l’interpretiamo così: dopo che il Signore avrà elargito la sua benedizione e avrà perdonato i nostri peccati, noi possiamo offrire i nostri sacrifici a Dio.

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